cambiare è possible...?

 

cambiare è possibile...?

 

Vocabolario Treccani    

cultura s. f. [dal lat. cultura, der. di colĕre «coltivare», part. pass. cultus; nel sign. 2, per influenza del ted. Kultur].

omissis

2. In etnologia, sociologia e antropologia culturale, l’insieme dei valori, simboli, concezioni, credenze, modelli di comportamento, e anche delle attività materiali, che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale

Omissis…

 

Dai tempi più remoti sappiamo che cambiare una cultura richiede tempi lunghi, se non lunghissimi. Alla luce però di quanto si è vissuto negli ultimi tre mesi in Italia, potremmo dire che, in qualche modo, ci si può riuscire in molto meno tempo.

Con riferimento alla definizioni del termine Cultura riportata dalla Treccani, in particolare nell’accezione etno/sociologica, quindi in poco tempo, pochi giorni, poche settimane, gli italiani sono riusciti ad apportare un cambiamento profondo ai loro “modelli di comportamento, e anche delle attività materiali”. Ottima cosa si potrebbe dire.

 

Ma non è proprio così, e gli stessi italiani (ma non tutti) ce lo hanno dimostrato.

Certo quel cambiamento repentino, che si ritiene potrà essere duraturo per certi aspetti, ha avuto “l’aiutino”, l’incentivo, rappresentato dal fatto che vi era un alto rischio per la salute del singolo e con lui e grazia a lui per i suoi congiunti. La paura ha realizzato il cambiamento.

È cambiato il modo di vivere la quotidianità, il rapporto con l’altro, le abitudini velleitarie, quelle che rappresentavano la socialità. Non è cambiata però quella parte della cultura “modello di comportamento” che investe una parte, grazie a Dio non maggioritaria, di popolazione che ramifica la propria cultura in atteggiamenti che si possono definire genericamente “maschilisti” per non dire dell’aspetto più violento dell’assoggettamento del genere femminile che spesso degenera nel assassinio o femminicidio. Ed è cronaca di quest’ultimo periodo il peggioramento delle condizioni intrafamiliari in termini di violenza di genere.

In questo periodo abbiamo assistito mediaticamente all’aspetto subdolo della risatina sull’aspetto e sulle mise di una giornalista che, evidentemente con una professionalità altissima (dimostrata da decenni, chi scrive la segue fin dai tempi dei collegamenti dalla guerra nella ex jugoslavia), quotidianamente più volte al giorno e a tutti gli orari ci aggiornava sullo stato dell’arte in Cina e nell’area Asiatica .

In questo caso specifico si tratta di una donna, Giovanna Botteri, giornalista inviata RAI, di carattere e cultura tali da non subirne conseguenze, ma quante volte questo tipo di azione incide su donne e, soprattutto, ragazze più deboli?

Ma c’è stato ben altro comportamento, sicuramente più violento e pericoloso per la vittima designata. Parliamo di quanto successo in seguito al rilascio/liberazione della poco più che ventenne volontaria umanitaria, Silvia Romano, che per 18 mesi è stata nelle mani di guerriglieri/terroristi comunque bande criminali in quei territori (peraltro sballottata da un Paese all’altro) dell’africa funestati da guerre etnico/religiose che tante vittime mietono. Ebbene in quel caso la ragazza, del nome della quale si riempivano la bocca in tanti ostentando sensibilità al caso umano e geopolitico, alla ricerca di visibilità e consenso, finalmente libera ma che dichiarava la propria conversione all’Islam è stata oggetto di violenti attacchi mediatici e fisici (una bottiglia è stata gettata contro i vetri di una finestra della sua abitazione).

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    #giovannabotteri                                                                                                                                       #silviaromano

La cosa triste è che in queste occasioni molti sono quelli che per proprio tornaconto, politico e/o mediatico, agiscono con spudoratezza e violenza verbale, ma altrettanti intervengono e li seguono per puro spirito emulativo guidati da un malcontento e da una ignoranza, oltre che da sicura inconsapevolezza del male che possono fare, ormai diffusissimi e ai quali i social fanno da cassa di risonanza.

È questo il cambiamento?

La pandemia 2020 ha visto nei primi momenti un sussulto di fratellanza e solidarietà che ha spinto molti a credere in un futuro migliore in termini appunto di comportamenti e rapporti tra le persone e nel sociale. Ma evidentemente non per tutti, anzi per pochi.

Abbiamo visto che il cambiamento ha bisogno di un “incentivo” che tocchi tutti da vicino, la paura per la propria salute. Cosa può agire come deterrente a quei comportamenti?

La nostra idea è che solo la Cultura, quella con la C maiuscola, diffusa e divulgata presso tutte e tutti potrà aiutare il cambiamento.

E gli esempi.

Uno fra tutti quello dato da un grande uomo di cultura che purtroppo abbiamo perso in questi giorni, il Maestro Ezio Bosso Direttore d’Orchestra dalla storia travagliata in termini personali ma fortunatissima in termini di professione e cultura musicale oltre che di rapporto con l’altro.

In particolare l’altro era ed è stato il gran numero di musicisti che lo hanno seguito ed hanno avuto la fortuna di essere compagni di lavoro e di vita di una così grande personalità.

Ebbene ci piace riportare dei brani dell’intervento del Maestro nella trasmissione dello scorso 10 aprile di PropagandaLive, La7 tutti i venerdi in prima serata (sul web), poche righe per capire la persona e seguirne l’insegnamento. Riferendosi al momento particolare di isolamento di tutti, diceva:

“…mi chiedo: come va per gli altri?,

come va intorno a me, come va nel mio Paese, come va per i miei fratelli…

…gli uomini hanno bisogno di stare vicini, sono fatti per stare vicini,

non c’è un futuro senza vicinanza, senza stare insieme…

…noi rinasciamo, ma si rinasce nota per nota, e ogni nota diventerà quell’accordo

ed è bello essere le note di un accordo ancor più che andare d’accordo…”

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ecco l’esempio, ecco l’insegnamento…l’incentivo per le coscienze di tutti…

 

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