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Per vincere il terrore, anziché chiudere gli occhi e non voler vedere né sapere, Salva era dell’idea che bisognasse tenerli bene aperti e raccogliere tutte le informazioni possibili: nomi, facce dei carcerieri, gradi militari, visite di altri ufficiali al campo, organizzazione gerarchica. Mi raccomandava di ricordare tutto ciò che potevo perché più avanti ci sarebbe servito. E le verità è che cercando di memorizzare tutto dimenticavamo un po’ la paura. Capii subito che Salvador era convinto che la sua vita non sarebbe finita in quella cava, e neppure la mia, se fossi rimasto con lui.
Quando i cancelli si aprirono, io corsi fuori stordito e in lacrime. Salva uscì con una missione. Non si reggeva in piedi ma aveva una missione. Riuscì a localizzare e trascinare avanti ai giudici novantadue alti ufficiali nazisti; alcuni non potemmo far altro che sequestrarli, sottoporli a processo sommario e giustiziarli. Io non fui abile come Salva, mi capitò tutto il contrario. Non portai mai a termine una missione: alla fine li catturava sempre qualcun altro o riuscivano a scappare. Sembrava che il destino si prendesse gioco di me. Li individuavo, li inseguivo, li accerchiavo e, quando ero vicino, mi sfuggivano, si dileguavano.
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