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…(Milano)…
A scuola, le maestre si trovano a gestire i problemi ordinari con bambini di quell’età, a prescindere dal Paese di origine, “Stamattina, per esempio ho dovuto spiegargli la differenza tra scherzo e dispetto” racconta, “non è stato facile, abbiamo parlato delle <<parole piuma>> e delle <<parole sasso>>, mi ha aiutata la maestra di sostegno che è una psicologa, per fortuna, bravissima” (in classe c’è un bambino down molto affettuoso). Non sempre i genitori sono d’aiuto: “Certi li vedo un po’ troppo ‘leggeri’. Se un bambino consuma uno stick di colla sulla sedia del compagno e lo fa sedere, io e la collega lo sgridiamo, il genitore magari dice <<che bello scherzo>> e ride. Oppure cercano strane motivazioni psicologiche”. Poi ci sono casi di bambini aggressivi, “devi ripercorrere la loro storia, l’educazione, per capire da dove gli esce, a volte ti vengono dubbi che ci siano violenze a casa”. E bisogna fare sempre più attenzione al rischio di bullismo.
In aggiunta ci sono le difficoltà specifiche degli alunni migranti. I ricongiungimenti, per esempio, sono un passaggio critico.
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…(Brescia)…
E poi c’è il vero punto di forza della <<Manzoni>>: in questo crogiuolo, ciascuno mantiene la propria identità. Rispetto ad altre scuole in cui gli italiani sono in maggioranza e i bambini stranieri non possono fare a meno di percepire la propria diversità, oppure dove c’è una componente monoetnica accanto agli italiani, come accade nei quartieri <<cinesi>>, e facilmente si crea il <<noi contro loro>>, qui tutti sono diversi. La diversità è la normalità. Questo è rassicurante per i bambini, ognuno può essere se stesso: che venga dal Marocco, dalla Cina o dalla Tunisia, nessuno si sente inferiore. Tutti sono stranieri per qualcuno e tutti sono bresciani.
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…(Padova)…
“L’epoca degli sgomberi è stata un incubo” racconta la maestra Roberta, “perché la scuola è stata presa nel calderone della stigmatizzazione del quartiere. Siamo finiti alla ribalta anche noi, anche se non succedeva nulla, anzi: in quel periodo in realtà facevamo integrazione, c’era ancora una componente italiana forte e gestivamo positivamente una convivenza che nel resto del quartiere invece era un problema, un fatto di cronaca. I bambini che abitavano in via Anelli frequentavano senza problemi, alcuni di loro hanno raccontato a scuola che gli avevano sfondato la porta di casa.
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…(Napoli)…
La scuola ha un ruolo cruciale: “Rimane uno dei pochi luoghi, istituzioni pubbliche, che indipendentemente dalle scelte della politica non può girarsi dall’altra parte: ha i ragazzini dentro. È il luogo dove ci giochiamo buona parte delle possibilità di convivenza, o meno. Perché mentre l’Amministrazione di una grande città può dire <<non li vedo>>, la scuola no! Non è solo con l’immigrazione, questo: qui tu hai l’immigrato e il figlio del camorrista nella stessa classe. La scuola è il luogo dove ci giochiamo il futuro, nel Centro-Nord l’hanno capito” (chi più e chi meno, in verità, da quanto ho potuto vedere: ma si sa, l’erba del vicino è sempre più verde.
Andrea conferma che la presenza di stranieri – se una scuola, come quella di Carmine, lavora bene – può essere un forte incentivo. “Gran parte degli stranieri ha un’aspettativa alta, rispetto alla scuola, chiede qualità. E poi, per esempio, qui c’è il problema di far innamorare tutti gli alunni della lingua, non solo gli stranieri, perché l’italiano è la lingua della sanzione e della norma, ma si vive in dialetto”” la lingua carnale, degli affetti, come il friulano del poeta Cappello.
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