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Il rumore delle chiacchiere dei bambini stupiti aumenta ogni volta che l’assistente sociale cambia canale con il telecomando. Shlomo, seduto a gambe incrociate, beve letteralmente questo spettacolo incomprensibile. Quando era più piccolo, la mamma gli raccontava delle fiabe tramandate dai vecchi, storie di piccoli uomini, buffoni che vivevano alla corte del Faraone d’Egitto. I pigmei. Lui non se li immaginava tanto piccoli come quelli sullo schermo e pensava che fossero neri, mentre in quella scatola ha contato almeno cinquanta pigmei bianchi, compresi i musicisti.
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Lo psicologo prende tempo:
“Vi chiedo di riflettere qualche secondo. Quel che è successo la notte scorsa è grave, ma normale. Cos’ha fatto questo bambino? È fuggito, a piedi nudi con addosso un lenzuolo, alla maniera degli Etiopi. Dove andava? Ricordate, era diretto a Sud… Il suo Paese di origine, l’Etiopia. Perché? Sappiamo che la madre è morta tenendogli la mano meno di una settimana fa. Mentalmente, Shlomo tenta di raggiungere la sua vita anteriore, là dove i parenti,i fratelli sono scomparsi. L’Etiopia. Non credo che la soluzione consista nel trovare un’altra scuola, né più o meno severa, questo bambino tenta di ridare vita alla madre, ai suoi cari. E tornando verso la madre, torna nel passato.ma resta il fatto che noi siamo incapaci di aiutarlo, incapaci di ridare senso alle immagini che lo ossessionano. Questo bambino si consuma di disperazione…”
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Più tardi, avvolta da un accappatoio caldo, Yael entra nella camera di Shlomo, con cautela. A letto non c’è, si è addormentato per terra, come è sua abitudine. Allora abbozza un gesto, ma si trattiene, per paura di svegliarlo. Si siede, intenerita, e osserva il bambino, pensando alla sua esistenza passata, alle storie dell’esodo, agli orrori che ha sopportato. Cerca di immaginarne i genitori, le loro facce, pensa al terrore che quel bambino ha vissuto, e che persiste ancora. Sarà capace di aiutarlo?
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“Amore, ho riflettuto molto sulla storia della scimmia coperta di spine. Non deve strapparsi le unghie per togliere le spine che sono sotto, si farebbe troppo male. Ma, sai, con l’aiuto di qualcun altro potrebbe, piano piano, togliere quelle che le ricoprono il corpo. Si sentirebbe meglio. Quanto alle spine sotto le unghie, dovrebbe imparare a conviverci. So che è difficile, ma fanno parte della sua vita. Col tempo dimenticherà che le fanno male. Un giorno forse sarà persino fiera delle sue spine…”
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È un po’ come in quei film dove si vede la vita scorrere velocissima. Cosa si sa dei dolori, della rabbia, delle frustrazioni che provano gli esiliati, gli avventurieri moderni in cerca di lavoro, gli studenti, i corsisti del Sud che il più delle volte vivono nel bisogno, dei lunghissimi anni nelle megalopoli straniere dell’emisfreo Nord? Chi sa perché tanti abbandonano, mentre tanti altri hanno la megliosulle avversità e sul dolore?
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